Il Parco del Sasso Simone e Simoncello, nel cuore del Montefeltro, è il frutto di una storia umana delicata e discreta, la quale ha lasciato che la natura, da millenni, proseguisse indisturbata il suo lavoro silenzioso. Le tracce più recenti del passaggio dell’uomo sulle suggestive cime dei Sassi Simone e Simoncello sono ancora oggi visibili, sulla più ampia piana del Simone, nella croce, a memoria dell’insediamento religioso, nei ruderi dei muri e nella strada lastricata che conduce alla cima. Ma prima del più noto “tentativo” mediceo del XVI secolo di insediarvi una città-fortezza, la presenza dell’uomo va rintracciata già nell’età del bronzo, attorno al 1000 a .C., attraverso alcuni interessanti reperti ora conservati nel museo di Sarsina. Probabilmente fu rifugio per le popolazioni durante le incursioni longobarde e bizantine, ma l’asprezza del clima non rese facile uno stabile insediamento dell’uomo sul masso. Fu essenzialmente la vocazione strategica del sito, a motivare, infatti, i principali “urbanizzatori” del Sasso Simone; i Benedettini nel XII secolo, i Malatesta nel XV, ed i Medici alla fine del XVI. Ai primi si deve la costruzione di un’abbazia dedicata a Sant’Angelo, probabilmente sul luogo di una cappella di epoca longobarda (San Michele Arcangelo-Sant’Angelo era il protettore dei longobardi), anch’essa, probabilmente, sorta su un luogo di culto più antico. Il più antico documento conservato, riguardante il primo abate, è datato 1168, di conseguenza la fondazione è precedente a tale data. Il motto benedettino “ora et labora” trovava, sul sasso e nei territori circostanti, una ricchezza di pascoli e boschi, nonché una vasta possibilità di nuove bonifiche, tutte attività che spiegano le numerose fondazioni Benedettine nell’XI secolo. L’arrivo di inverni particolarmente rigidi e l’apertura di nuove e più comode vie di pellegrinaggio contribuirono al decadimento di questo sito, che vide un maggiore e quasi definitivo tracollo con la peste del 1348. Già dal 1279, però, i monaci dell’Abbazia di Sant’Angelo godevano di una più comoda casa abbaziale nella vicina San Sisto.
La definitiva soppressione avvenne per opera del papa Pio II che, nel 1462, la aggregò a quella di Santa Maria del Mutino (Monastero di Piandimeleto). Rimase una piccola chiesa dedicata a San Michele Arcangelo, frequentata, con molta probabilità, nei giorni di fiere estive fino al nuovo e ultimo tentativo di ripopolamento messo in atto da Cosimo I nel 1566, ripercorrendo un obiettivo politico e strategico di Malatesta Novello, signore di Cesena e Sestino. Il duca de’Medici era già stato al governo di buona parte del Montefeltro negli anni attorno al 1520 e nella politica di riorganizzazione del territorio la costruzione di una città-fortezza era un valido baluardo per il raggiungimento del mare Adriatico. Il sole raggiante, simbolo della nuova “città ideale” era, infatti, sintomatico della cultura e strategia militare. Una nuova inversione di clima piega, però, gli intenti dei Medici, così come la difficoltà nel reperire il materiale per la costruzione ed i numerosi ostacoli per armare il fortilizio. Nel 1673 il presidio militare venne abbandonato, cessate ormai anche le motivazioni politiche con la morte di Francesco Maria II Della Rovere e la devoluzione del ducato di Urbino alla Chiesa. Oggi rimangono sparute e affascinanti tracce di questo tentativo utopistico di assoggettare le forze della natura agli intenti umani: cisterne per la raccolta delle acque piovane, strutture delle mura difensive e, attraverso la più folta vegetazione che ora sembra sottolineare la sua rivincita, deboli tracce della strada rettilinea lungo la quale si aprivano i quartieri.
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